Anziani e ospedale: un binomio imprescindibile
20.04.2018L’emergenza Pronto soccorso non ricorre solo nei primi mesi dell’anno in occasione dell’epidemia influenzale o quando c’è l’ondata di caldo, ma è un dato ormai strutturale. Di seguito vi riproponiamo l’editoriale a firma del presidente della Sigot, Filippo Luca Fimognari, pubblicato sul Sole 24 Ore Sanità.
di Filippo Luca Fimognari*
L'"emergenza Pronto soccorso" ricorre nei primi mesi dell’anno, in occasione dell’ epidemia influenzale, oppure quando si raggiunge il picco del caldo estivo. Pronto soccorso invasi da troppi pazienti, in gran parte anziani, spesso in attesa di essere ricoverati. Sentiamo anche dire che molti anziani non dovrebbero andare in ospedale e che dovrebbero esser curati a casa. L’aumento delle cure domiciliari e territoriali – alcuni sostengono – potrebbe d’incanto risolvere il problema del sovraffollamento dei Pronto soccorso.
In ragione della progressiva diminuzione della mortalità, il numero di anziani è in continuo aumento. Questa grande conquista ci ha consegnato un maggior numero di anziani “fragili”, in quanto affetti da molteplici patologie croniche. In questi pazienti, un equilibrio clinico molto vulnerabile può facilmente rompersi (“instabilità clinica”), dando luogo a mutamenti improvvisi dello stato di salute e a quadri acuti curabili solo in ospedali ben attrezzati. I pazienti con più di 65 anni rappresentano infatti più del 60% di tutti i codici rossi di Pronto soccorso, le urgenze gravi e indifferibili, che sembrerebbero quindi essere una prerogativa degli anziani. Al contrario, su 100 codici bianchi – le patologie non gravi – ben 80 sono pazienti adulto-giovani e non più di 20 sono anziani. Ancora, il ricovero ospedaliero di pazienti poco gravi è molto più frequente tra i giovani che tra gli anziani. In conclusione, gli anziani ricorrono all’ospedale per patologie in genere gravi, e il loro ricovero è quasi sempre appropriato. In emergenza-urgenza, il ricorso ingiustificato all’ospedale per patologie poco gravi sembra essere più un problema dei giovani-adulti che dei vecchi.
Una buona assistenza territoriale può migliorare la gestione complessiva delle patologie croniche e, soprattutto, aiuta a decongestionare gli ospedali, facilitando la dimissione di pazienti stabilizzati ma ancora bisognosi di assistenza. Negli ultimi anni il mito del “territorio” ha indotto a concentrare risorse economiche sul potenziamento delle cure territoriali con il risultato di un’indubbia crescita delle cure extra-ospedaliere, del resto ancora insufficienti in alcune regioni. Questa politica, tuttavia, è stata accompagnata da un progressivo taglio dei posti letto ospedalieri, proprio mentre cresceva la fascia di età, quella degli anziani “fragili”, più bisognosa di cure ospedaliere. Il numero di 3.7 posti letto ospedalieri ogni 1.000 abitanti, indicato per legge come standard da raggiungere in Italia, è tra i più bassi d’Europa (la media nella Ue dei 27 è di 5.2 per 1.000). L’Italia vive una situazione simile a quella di Gran Bretagna (3 posti letto per 1000) e Spagna (2.7 per 1000). Proprio in Gran Bretagna sono state sollevate forti perplessità sul fatto che il potenziamento del territorio possa risolvere l’ affollamento degli ospedali da parte di un numero crescente di pazienti anziani con quadri clinici complessi, gravi ed urgenti. In un editoriale del 2013 sul British Medical Journal si sosteneva che «nelle ultime decadi vi è stata un’importante riduzione dei posti letto per acuti. Ulteriori riduzioni nei posti letto nella vana speranza che aumentando i servizi territoriali si riducano i ricoveri potrebbe rivelarsi potenzialmente pericoloso per la cura dei pazienti». Nel 2014, un editoriale del New England Journal of Medicine ha coniato il termine di «paziente dipendente dall’ospedale». Un nuovo tipo di paziente anziano, affetto da patologie croniche instabili, che al netto di un’ottimale assistenza domiciliare e territoriale, rimane comunque a rischio di pericolose riacutizzazioni, gestibili solo in ospedale.
In Italia stiamo vivendo una straordinaria transizione demografica che porterà il numero di ultrasessantacinquenni dagli attuali 12 milioni ai 18 milioni del 2050. È necessario affrontarla con un approccio razionale, senza cedere a ricette miracolistiche e superando la politica dei tagli indiscriminati. L’assistenza a questo nuovo tipo di paziente anziano deve reggersi su due gambe, il territorio ma anche l’ospedale, puntando sulla sapiente integrazioni tra i due contesti.
* Direttore Unità Operativa Complessa di Geriatria, Azienda Ospedaliera di Cosenza
* Presidente della Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio (Sigot)
FONTE: http://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/lavoro-e-professione/2018-04-20/anziani-e-ospedale-binomio-imprescindibile-134054.php?uuid=AExtN2bE