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Il successo “commerciale” dei farmaci - Uno sguardo rivolto alla Geriatria

03.03.2022
Sigot

Prof. Massimo Palleschi

Il consenso verso qualsiasi atto medico non è sempre proporzionale alla sua efficacia, essendo numerosi i fattori che interferiscono sul successo del Medico e sulle sue prestazioni. Già diversi anni fa era stato evidenziato come tra gli interventi chirurgici più praticati ve ne fossero alcuni tra i maggiori indiziati di scarsa utilità (rimozione di frammenti cartilaginei dell’articolazione del ginocchio, intervento chirurgico per sindrome del tunnel carpale, ecc.).
Per quanto concerne i farmaci, non sempre il successo commerciale è proporzionale alla loro efficacia: cercherò in questa rassegna di individuare i casi più significativi e di darne una possibile spiegazione.
Una prima osservazione parte per paradosso dall’abbandono (o addirittura dalla sospensione) di numerosi farmaci, che ovviamente costituisce l’opposto del consenso ad una determinata terapia.
Il ritiro dal commercio di un farmaco di per sé non costituisce un evento negativo in quanto può essere determinato dalla scoperta di nuove sostanze più efficaci e più sicure che non giustificano l’ulteriore impiego della precedente terapia.
Un discorso diverso riguarda altre due possibilità:

  • La sospensione di un farmaco perché provvisto di una tossicità, prima non adeguatamente accertata, in grado pertanto di produrre effetti collaterali sproporzionati ai vantaggi. Ad esempio alcuni COXIB sono stati ritirati in quanto, in seguito al loro impiego, è stato evidenziato un significativo incremento di effetti collaterali cardiovascolari.
  • L’abbandono di un farmaco, non tanto perché superato, ma perché inutile. La terapia con estratti cardiaci nello scompenso cardiocircolatorio non viene più praticata non solo perché abbiamo farmaci di provata efficacia in questa malattia, ma anche o soprattutto perché sprovvista di alcuna reale azione.

L’impiego nel passato di farmaci inutili si è verificato per l’inadeguatezza dei sistemi di valutazione che attualmente sono invece molto più attendibili perché si basano, oltreché sull’esperienza acquisita, su criteri “oggettivi” di razionalità e scientificità con riferimento in particolare ai risultati dei grandi trial internazionali (“Evidence Based Medicine” che può tradursi in “Medicina basata su prove provate”).
Il successo commerciale di un farmaco è condizionato però non solo dalla sua efficacia, ma da diversi altri fattori comprendenti quelli di natura economica. Ad esempio i diuretici tiazidici, impiegati nella terapia dell’ipertensione arteriosa, presumibilmente avrebbero un ruolo più rilevante se non vi fosse la propensione a ricorrere a farmaci più innovativi, ma anche più convenienti per le case produttrici con ricavi molto elevati.
La ragione dello scarso profitto può indurre ad una minore utilizzazione di altri farmaci come la maggior parte degli uricosurici.
Prima di iniziare il trattamento antigottoso dei periodi intercritici (terapia metabolica o “terapia di fondo”), può essere opportuno procedere alla classificazione dei pazienti in iperproduttori di acido urico e in ipoeliminatori (meno di 500-700 mg di acido urico eliminati nelle 24 h) per scegliere la categoria dei farmaci da utilizzare. Dei due meccanismi con i quali si istaura l’eccesso di acido urico, quello della scarsa eliminazione urinaria è ritenuto il più rilevante. Nonostante quanto appena detto, i farmaci uricosurici (probenecid, sulfinpirazone, benzbromarone e più recentemente il lesinurad) sono complessivamente meno impiegati degli altri farmaci (allopurinolo, febuxostat, ecc.) che inibiscono la sintesi di acido urico, ma hanno anche la caratteristica di essere più remunerativi.
Il problema dei farmaci poco o nulla utilizzati per ragioni di scarsa convenienza economica non è frequentemente dibattuto, recentemente ne è stato fatto cenno nella rivista "Cuore e salute" dove Massimo Pandolfi ha parlato di “farmaci orfani”, con riferimento soprattutto agli antiaritmici ed in particolare alla lidoflazina(nome commerciale Clavidene) che secondo l’autore è stata ingiustamente abbandonata perché poco conveniente.
Il fattore economico può incidere sul consumo (e sul successo) dei farmaci in maniera opposta a quella appena descritta della scarsa utilizzazione, provocando una eccessiva medicalizzazione.
E' noto che la polipatologia dell’anziano richiede un maggior numero di medicine, ma non dovrebbe essere possibile arrivare all’assunzione di 10-15 od anche di 20 farmaci al giorno(1) senza conseguenze negative riferibili in particolare alle interazioni farmacologiche.
Non è solo il settore economico a “inquinare” la valutazione dell’efficacia dei mezzi terapeutici, a cominciare dalle medicine alternative o complementari o naturali, che non prevedono gli stessi criteri di sperimentazione ed approvazione dei farmaci tradizionali.
Come è possibile che una moltitudine di persone in Italia e all’estero si affidi a queste cure, nonostante le forti riserve della classe medica più competente ed autorevole?
Una spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che le cure “naturali” implicano un rapporto tra medico e paziente più personale, più empatico, meno provvisto di elementi tecnologici.
L’aspetto singolare è costituito dal fatto che l’impostazione medica di tipo tradizionale è quasi sempre accettata per i grandi eventi patologici, mentre viene disattesa dai fautori della medicina alternativa per tutta una serie di disturbi di minore rilevanza clinica, di più incerta rilevazione diagnostica e di notevole impatto psicologico (alcune sindromi dolorose vertebrali, cefalea, dispepsia, astenia, prurito cutaneo, impotenza sessuale, ecc.).
Ad incrementare il consenso verso le cure alternative (agopuntura ed omeopatia soprattutto) concorreanche il minor costo che generalmente hanno queste terapie rispetto a quelle tradizionali. Vi è poi il timore diffuso per gli effetti collaterali dei farmaci della Medicina Ufficiale che può assumere i caratteri di una vera fobia con ricorso in questi casi soprattutto all’omeopatia. Oltretutto questi prodotti, a parte le altre riserve, alle diluizioni a cui vengono preparati, spesso non contengono neppure una molecola del principio attivo originario.
Il consenso verso i rimedi “naturali” si basa sull’errata idea che il naturale sia di per sé buono e che la sostanza chimica introdotta artificialmente sia “cattiva”. Come ha osservato il noto farmacologo Silvio Garattini, il naturale in sé non è né buono né cattivo, ma può essere sia buono, sia cattivo, tanto è vero che sono del tutto naturali i maggiori veleni contenuti in alcune piante o emessi da alcuni insetti e sono naturali anche i batteri ed i virus responsabili di gravissime malattie, oggi in gran parte debellate nei Paesi industrializzati. Altrettanto si deve riconoscere che naturali non sono la maggior parte dei farmaci che vengono sintetizzati chimicamente e non naturali sono anche gli interventi chirurgici.
Il successo di un farmaco dipende anche dalla disponibilità di base di alcuni pazienti verso le cure. Vi sono soggetti che hanno la mania dei farmaci nuovi ad ogni costo. Anche in questo settore è necessario molto equilibrio, tenendo presente che un farmaco nuovissimo può essere scarsamente attendibile(2).
Un fattore che non dovrebbe influenzare il consenso verso un farmaco è costituito dal nome, fenomeno che invece si verifica non di rado, come risulta anche da diverse ricerche psicologiche.
Per esempio il termine tachipirina, derivante dal greco evoca la sua efficacia e velocità (tachys cioè rapido e pyr, fuoco) per ciò che attiene all’azione antipiretica.
Nei riguardi del rapporto confezione e consumo/successo di un farmaco un posto privilegiato dovrebbe rivestire in Geriatria la preparazione in gocce che invece in non ha un grande riscontro. Sono pochi i farmaci che prevedono questa via di somministrazione, solo alcuni di ambito cardiologico e neuropsichiatrico. Quanto mai opportuna è la preparazione in gocce di alcuni prodotti contenenti le benzodiazepine (valium, ecc.). I vantaggi sono riferibili oltreché alla più facile deglutizione ad una migliore capacità di frazionamento del farmaco. I tranquillanti hanno il grave inconveniente dell’assuefazione e conseguentemente quello di favorire un’insonnia alla sospensione o alla riduzione del farmaco come ad esempio al dimezzamento di una compressa. Se invece le gocce vengono diminuite gradualmente e lentissimamente, la sospensione del sedativo si svolge senza problemi. Non mi sembra che la corretta metodologia abbia avuto un largo seguito.
Un cenno riservo al problema del successo di un farmaco dovuto ad elementi difficilmente analizzabili ed inquadrabili in quel fenomeno che viene definito “moda”. L’impiego degli antiossidanti come panacea di ogni male è un esempio significativo.
Un discorso analogo si potrebbe fare per l’impiego degli integratori che difficilmente può essere basato su “prove provate”. Gli integratori richiamano alla mente il vecchio impiego dei ricostituenti. Il problema consiste nel quesito su cosa si debba ricostituire od integrare. In linea di massima non si tratta di operare una generica ricostituzione od integrazione, ma di correggere carenze specifiche, espressione di determinati quadri morbosi, con farmaci adeguati.
D’altra parte per comprendere quanto questo settore sia inquinato da interessi economici, basta osservare tutto ciò che è esposto in una farmacia, piena generalmente di prodotti che non hanno alcuna evidenza scientifica, pur promettendo risultati straordinari.
A conclusione di questo editoriale vorrei porre l’attenzione su un problema di vasta portata e cioè il successo (e quindi il largo impiego con le ricadute economiche) della cosiddetta Medicina antiaging.
La Medicina antiinvecchiamento devia l’attenzione dalla cura delle malattie che interessano la persona anziana alla prevenzione dei segni e sintomi del declino psico-fisico senile.
Si tratta di un vasto ed eterogeneo gruppo di farmaci che dovrebbero avere conseguenze benefiche su sintomi e segni come deficit della memoria, riduzione della massa muscolare, facile affaticabilità, minore efficienza nella deambulazione, alterazioni cutanee, ecc.
I farmaci antiaging comportano il rischio di medicalizzare ogni segno tipico dell’età avanzata ed hanno il grave inconveniente di non possedere alcuna reale evidenza scientifica della loro efficacia (3). Pur tuttavia farmaci come gerovital, melatonina, deidroepiandrosterone (DHEA), ginkgo biloba, ginseng, multivitaminici, omega 3 polienolici, antiossidanti, hanno avuto ed hanno un largo consenso.
Sconcerta anche il fatto che non si dia più ampio e diffuso credito ad una gestione di tipo geriatrico del declino psico-fisico senile con un programma di valutazione geriatrica multidimensionale, una conseguente ricerca e possibile rimozione di tutti i fattori che incidono sfavorevolmente sull’efficienza e l’autonomia della persona anziana e la messa in atto di adeguate misure di riattivazione: monitorizzazione e riduzione delle ore trascorse a letto nelle 24 h, esercizi di deambulazione, esercizi di memorizzazione, incremento dell’attività fisica complessiva delle 24 h, regime di vita non solo più attivo fisicamente, ma il più simile possibile a quello precedente il declino funzionale, ecc.
Non vi sono evidenze cliniche sull’efficacia di un tale programma, oltretutto molto difficile ad essere precisato, valutato e confrontato per un tempo adeguato,ma secondo l’esperienza di chi si dedica a questi problemi è l’unica via percorribile.
Un’ultima osservazione riguarda il successo indebito di numerosi farmaci impiegati in malattie gravi verso le quali non esistono al momento rimedi veramente efficaci. In situazioni così drammatiche si è portati ad utilizzare, in mancanza di meglio, farmaci dalla irrilevante efficacia che viene pertanto esaltata, persino in buona fede, ma più spesso per trarre ricavi economici ingiustificati. La malattia di Alzheimer rappresenta un caso tipico di quanto appena descritto con un susseguirsi di gruppi di farmaci presentati come innovativi, ma in realtà già nelle premesse non molto attendibili, fino ad arrivare ai farmaci anticolinesterasici e alle attuali speranze per l’impiego degli anticorpi monoclonali antiamiloide.
Il problema fondamentale della malattia di Alzheimer consiste nel fatto che non si conosce con sicurezza la sua eziopatogenesi e la stessa responsabilità della cascata dell’amiloide può essere messa in dubbio.
Riferendosi a concetti di carattere generale e non solo alla malattia di Alzheimer, si può affermare che il consenso verso i farmaci dovrebbe essere tanto più rilevante quanto più evidente è il loro meccanismo eziologico o almeno fisiopatologico, con scarsa considerazione verso i mezzi terapeutici dal meccanismo incerto o interferenti su aspetti di scarsa importanza.

Bibliografia

1. Garattini S.: Il futuro della nostra salute. Il Servizio Sanitario Nazionale che dobbiamo sognare. Edizioni San Paolo,Cinisello Balsamo (Milano),2021.
2. Palleschi M. : Malati di prevenzione, Lastaria Edizioni, Roma, 2018 Pasina L.: Esistono farmaci che influenzano l’invecchiamento? In Garattini S.: Invecchiare bene- La guida pratica per vivere a lungo felici e in salute. Edizioni LSWR, Milano, 2021, pag. 243.